Intelligenza Artificiale, Industria 4.0 e UBI | Un futuro senza lavoro, o rassegnarsi a lavori senza futuro?
La chiamiamo Industria 4.0, sarebbe la quarta rivoluzione industriale, la prima in cui il focus non sarà l’aumento di produttività delle persone a parità di tempo totale, quanto l’aumento della produttività generale a parità di persone totali. Anzi, la riduzione progressiva del numero delle persone sarà parte del focus. Ma d’altra parte sarà con ogni probabilità anche l’ultima rivoluzione industriale a cui assisteremo.
Oh I laid down your railroads, every mile of track.
With the muscles on my arm and the sweat upon my back.
And now the trains are rolling, they roll to every shore
You tell me that my job is through, there ain’t no work no more.
Though I laid down your highways all across the land.
With the ringing of the steel and the power of my hands.
And now the roads are there like ribbons in the sky,
You tell me that my job is through but still I wonder why.
For the wages were low and the hours were long
And the labour was all I could bear.
Now you’ve got new machines for to take my place
And you tell me it’s not mine to share.
Though I laid down your factories and laid down your fields,
With my feet on the ground and my back to your wheels.
And now the smoke is rising, the steel is all a-glow,
I’m walking down a jobless road and where am I to go.
Tell me, where am I to go.
(Phil Ochs: Automation Song)
“I prossimi 30 anni saranno di sofferenza: questa rivoluzione porterà instabilità sociale, come tutte le rivoluzioni” dice Jack Ma, il fondatore di Alibaba. Di cosa parliamo? Parliamo del timore diffuso che la prossima rivoluzione industriale – ormai alle porte – porterà automazione su così vasta scala da demolire il mercato del lavoro.
Ma ci siamo già passati… o no?
Questa non è la prima rivoluzione industriale (ovviamente, visto che parliamo della quarta direte voi).
In generale, il concetto di rivoluzione industriale indica un periodo di demarcazione, dovuto a innovazioni tecnologiche, tra due fasi storiche. Sempre storicamente parlando, possiamo dire di essere passati attraverso due rivoluzioni industriali, che hanno introdotto meccanizzazione ed economia di scala. Mentre stiamo vivendo la terza – quella dei computer e dell’automazione – proprio ora, la quarta, quella dell’Intelligenza Artificiale, è alle porte.
Le prime tre rivoluzioni industriali: dalla meccanizzazione all’era informatica
La prima rivoluzione industriale, per esempio, a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, segnò la trasformazione della società da quasi interamente agricola a società industriale, grazie all’invenzione delle macchine a vapore, dei filatoi meccanici e delle ferrovie. Questa automazione contribuì fortemente a creare la classe media, che è un po’ il fondamento dell’economia capitalista di oggi. D’altro canto però, inevitabilmente portò all’eliminazione di molti posti di lavoro.

Questi tagli ai posti di lavoro non fu preso bene inizialmente, generando movimenti di protesta come il Luddismo. Tuttavia, divenne presto evidente che nel medio periodo si andava trasformando anche il mercato del lavoro. La riduzione drastica dei posti di lavoro più pesanti corrispondeva alla creazione di nuovi posti di lavoro che richiedevano competenza e specializzazione. Sostanzialmente sempre più lavori di fatica lasciati alle macchine, e sempre più nuovi posti di lavoro creati, riguardanti la gestione delle stesse.
La seconda rivoluzione industriale è di portata ancora più vasta, con moltissime innovazioni durante il XIX secolo, come l’acciaio inox e l’anestesia, dell’illuminazione elettrica, del telefono, del telegrafo senza fili e del motore a scoppio, senza dimenticare la corrente alternata. Ma soprattutto fu l’era della produzione di massa, grazie alla catena di montaggio introdotta da Ford. Queste innovazioni trasformarono radicalmente la società, portando all’esplosione demografica nelle città, la nascita di un sistema economico basato sull’accentramento di capitali e sul consumismo, e a una serie di lotte sociali che avrebbero gettato le basi per due guerre mondiali.

D’altra parte però, com’era accaduto per la prima rivoluzione, a un periodo di instabilità fece seguito (almeno nei paesi più industrializzati) un periodo di grande crescita economica. Ancora una volta, molti dei lavori più pesanti andavano sparendo, con la nascita di nuove e più specializzate professioni che contruibuirono in modo sostanziale a una ulteriore espansione della classe media. Ma se le prime due rivoluzioni avevano gettato le basi, possiamo dire che la crescita tecnologica, seppur in fase di accelerazione, era stata ancora relativamente lineare.
L’invenzione del transistor nel 1925 prima, e dei circuiti integrati poi, diedero il via a una corsa alla miniaturizzazione che suggerì a Gordon Moore la formulazione della sua Legge di Moore (più un’osservazione empirica che una legge formale). Secondo la legge di Moore, nella produzione dei processori, il numero dei transistor integrati raddoppia circa ogni 18 mesi. Il risultato è che dall’invenzione del telefono siamo passati a mettere piede sulla Luna in meno di 100 anni, e successivamente dal primo microprocessore a smartphones migliaia di volte più potenti di tutta la tecnologia utilizzata per le prime missioni spazialli. E da Internet alla prima automobile autonoma ne sono passati appena una ventina…

L’era dell’informazione e di Internet è praticamente la terza rivoluzione industriale che stiamo vivendo ora. Un’era che ha segnato un’evoluzione del mercato del lavoro, con una crescita esponenziale di professioni tecnologiche negli ultimi 10 anni.
La quarta rivoluzione, l’illusione del “ci siamo già passati” e il paradosso del cavallo da tiro
La domanda più comune a questo punto è “Ci siamo già passati, le rivoluzioni industriali hanno sempre eliminato posti di lavoro, ma ne hanno sempre poi creati di nuovi e differenti, quindi perché preoccuparsi? Sarà così anche stavolta”.
La risposta breve è che stavolta è diverso, e la prossima rivoluzione industriale sarà con ogni probabilità l’ultima.
La risposta più lunga è che se ci pensiamo, viste dal punto di vista del cavallo da tiro le rivoluzioni industriali hanno determinato l’eliminazione totale di tutti i “posti di lavoro”, e nessun “impiego” nuovo. I cavalli da tiro semplicemente non ci servono più, perché dovremmo continuare a “servire” e a lavorare noi?
Perché stavolta è differente? Sostanzialmente le differenze rispetto alle rivoluzioni precedenti sono due:
- Machine learning: in passato le innovazioni hanno prodotto strumenti sempre più sofisticati per supportarci, ma stavolta non è solo questione di complessità, stavolta le macchine possono imparare a eseguire compiti da sole.
- Stavolta, soprattutto grazie al machine learning, stiamo per entrare in un’era di automazione in cui nuove tecnologie e industrie vengono create a velocità sempre maggiore. La velocità in cui nuovi tipi di lavoro vengono creati, però, non è paragonabile a quella con cui i “vecchi” impieghi vengono rimpiazzati.
La produttività aumenta sempre di più, i costi si riducono sempre di più, nuovi tipi di business emergono continuamente ma… i posti di lavoro no, mentre d’altro canto la popolazione continua ad aumentare. Vale la pena di ricordare che tutto il sistema sociale capitalista si basa sul consumismo: tutta la catena produttiva si fonda sull’assunto che ci sarà qualcuno che acquisterà beni e servizi. Senza un lavoro oggi non c’è reddito, e senza reddito non si consuma, e senza consumatori tutto il sistema rischia di implodere su se stesso.
Pensate che il vostro lavoro sia esente dall’essere rimpiazzato da Intelligenza Artificiale? Forse è il caso di ripensarci.
Potreste pensare che lo scenario dipinto sopra sia un’esagerazione, e che alla fin fine ci sarà sempre bisogno di qualcuno che manovri le macchine, e che gli insegni quello che devono fare, manovrandole o programmandole.
Ma come ho detto, questa è l’era del machine learning, quindi vi presento Baxter, il primo robot general-purpose in grado di imparare a eseguire task semplicemente osservandoci mentre li facciamo.

Lavori manuali
L’idea dei lavori manuali rimpiazzati dalle macchine è ovviamente la prima che viene in mente, ma i lavori di cui parliamo qui non sono propriamente i lavori da catena di montaggio che ci aspetteremmo. In questa categoria mettiamo non solo quelli considerati “di fatica” come operai e agricoltori, ma anche quelli di servizio, come commessi, cassieri e camionisti.
Agricoltura: nell’agricoltura parliamo già di “agricoltura di precisione”, dove pochissime persone sono in grado di mandare avanti intere fattorie. In questo settore tutta la catena è automatizzata, dai droni che sorvolano i campi raccogliendo dati sul terreno, all’intelligenza artificiale che sulla base di quei dati manovra irrigatori, trattori e raccoglitori.
Retail: Amazon sta sperimentando Amazon Go da un po’ di tempo, e anche Walmart sta facendo lo stesso con Kepler. Lo chiamiamo smart retail, ovvero da una parte migliorare l’esperienza del cliente, ma soprattutto ottimizzare e ridurre i costi automatizzando.
Trasporti: mentre metropolitane e treni totalmente automatizzati sono tutt’altro che una novità oggi, compagnie come Tesla e Otto stanno già producendo le loro flotte di camion driverless a lunga percorrenza. Infatti, la notizia del primo camion driverless di Otto (acquisito da Uber) a fare una consegna in autonomia risale già al 2016 (vedi sotto). Dal canto suo, Elon Musk ha annunciato la prima consegna autonoma da parte di uno dei suoi “Semi” già questo 7 marzo.
Logistica: automatizzare i magazzini è oramai una realtà in molte aziende come Amazon e Alibaba, i robot sono in grado di spostare interi scaffali in modo estremamente preciso, rapidamente e in autonomia. Anche qui non si tratta più solo delle solite braccia meccaniche, ma di automi in grado di muoversi nell’ambiente in modo totalmente autonomo trovando percorsi ottimizzati e in grado di evitare le collisioni. Le consegne di beni nell’ultimo miglio tramite droni o robot autonomi è inoltre già in fase di test.
Lavori di “concetto”: non solo colletti blu
I lavori da “colletto bianco” sono già quelli che ci si aspetterebbe di meno, con la concezione tradizionale di “macchina”. In fondo, richiedono capacità di analisi, di apprendimento, precisione, capacità di interfacciarsi con fornitori e clienti (magari automatizzati a loro volta). “Aspetta un attimo, non è proprio quello che fanno meglio le macchine?” Precisamente.
Stampa: nonostante recenti tentativi interessanti, possiamo dire che la scrittura creativa è ancora appannaggio umano. Tuttavia, vediamo che Automated Insights già da tempo ha varato il proprio servizio di scrittura automatica di report finanziari Wordsmith, utilizzato da Associated Press e Yahoo! (vedi il precedente articolo a riguardo). Nel campo della produzione di news, Google ha recentemente finanziato il progetto RADAR della Press Association.
Turismo 4.0: il settore dei viaggi non è certamente esente dall’ondata “smart”. Nello specifico, “smart travel” o “travel 4.0” che dir si voglia vede la diffusione oramai capillare dei servizi online e l’impiego di IoT. Le persone sono oramai in grado di organizzarsi i viaggi in autonomia, e lo sportello di agenzia con l’operatore pronto a proporre pacchetti preconfezionati sta diventando obsoleto. Le stesse compagnie aeree stanno pianificando l’implementazione pesante dei segnali IoT per migliorare l’esperienza dei viaggiatori in aeroporto, e contemporaneamente ridurre la necessità di personale.

Avvocati: nemmeno settori come quello legale sono al riparo dalla rivoluzione.
Lo scettico potrebbe obiettare che stiamo parlando di un lavoro che richiede anni di esperienza e professionalità umana, non di un “lavoro da automi”, come lo si può rimpiazzare con una macchina? Beh il punto sta proprio in quel “richiede esperienza”.

Noory Bechor è il CEO dell’israeliana LawGeex, per esempio, che produce una piattaforma in grado di analizzare contratti più velocemente di qualsiasi controparte umana. Mentre la mission è quella di “aiutare i team legali” nel loro lavoro, non si può fare a meno di notare che la riduzione della forza lavoro umana necessaria ha iniziato a ridursi anche qui.
Come sia passato da avvocato corporate a CEO di una compagnia AI si può condensare nella sua riflessione:
“Ho lavorato moltissimi contratti per piccole società, così come per investitori e compagnie multinazionali. Per me era sconvolgente che dovessi reinventare la ruota ogni volta che avessi bisogno di scrivere o revisionare un contratto. Tutte quelle ore di lavoro su questo genere di attività erano una sofferenza”.
Una notevole parte dei lavori di concetto richiede la memorizzazione di regole, lento apprendimento attraverso l’esposizione nel tempo a quantità di casi ed esempi differenti. Apprendimento che ci porta a sviluppare la capacità di generalizzazione e giudizio necessari per portare avanti il lavoro con efficienza. Il problema è che questo genere di apprendimento è proprio quello in cui riescono meglio le macchine 4.0.
Sempre con riferimento a LawGeex, la descrizione di Bechor può essere illuminante a suo modo:
“Può prendere un nuovo contratto, uno mai visto prima, leggerlo e compararlo con un database di tutti i contratti simili che ha visto in passato”.

E, aggiungo io, può farlo in modo molto più efficiente di qualsiasi umano. Nella ricerca legale è da tempo attiva anche IBM, col suo chatbot Ross, in grado di scartabellare tra migliaia di documenti e offrire consiglio legale a livello professionale in ambito bancarotta, proprietà intellettuale e impiego.
Medicina: Il campo delle diagnosi mediche è un’altro settore in cui l’Intelligenza Artificiale va forte, e che eravamo abituati a dare per scontato come attività tipica umana.
Ma, come per il settore legale, l’abilità di effettuare diagnosi per un medico si acquisisce dopo anni di analisi di referti medici ed esami clinici, confrontandoli con quadri tipici di patologie incontrate in passato. Anche qui, attività che è il punto di forza di una intelligenza artificiale.
Verily (ex Google Life Sciences), per esempio, ha prodotto una AI in grado di diagnosticare diabete e disturbi cardiaci utilizzando dati provenienti da wearable come lenti a contatto “smart”.

Non è tutto: un recente articolo pubblicato da Google e Verily, esplorava come effettuare diagnosi precoci di tumori al seno tramite AI. Dei ricercatori di Filadelfia sono stati in grado di rilevare con il 99% di accuratezza la presenza o assenza di tubercolosi a partire da scansioni a raggi X al torace, utilizzando un workflow composto da GoogLeNet e AlexNet. Per non dimenticare l’anestesia, dove ad esempio Sedasys prodotto da Johnson & Johnson, che era in grado di effettuare alcuni tipi di anestesia, risparmiando sul costo dello specialista.
Certo, in quest’ultimo caso c’è da riportare che Sedasys non ha avuto il successo sperato, portando all’abbandono (auspicato a gran voce da migliaia di specialisti “oltraggiati” dall’idea) da parte di Johnson & Johnson, ufficialmente per scarse vendite. Tuttavia ad analisi approfondite la causa di questo “fallimento”, sembra essere più lo stato ancora immaturo della ricerca (si parla del 2016), che l’impossibilità assoluta di automatizzare il processo.
Sviluppo: ma se le macchine ci sostituiranno in tanti lavori, ci sarà comunque sempre bisogno di qualcuno che le programmi no? Indubbiamente oggi assistiamo a un’esplosione della domanda di data scientist e sviluppatori AI, domanda che oggi supera ancora di gran lunga l’offerta. Ma è irragionevole aspettarsi che questa tendenza duri molto a lungo, dal momento che l’intelligenza artificiale sta diventando una “commodity” in fretta, e tra non molto la capacità di lavorare in questo ambito potrebbe smettere di essere un discriminante.
D’altra parte, il numero di applicazioni e sistemi di Intelligenza Artificiale sta crescendo in maniera esponenziale, molto più velocemente della capacità che abbiamo di formare nuovi specialisti. Questa difficoltà ha portato Google a esplorare il problema, e (non troppo sorprendentemente) è emerso che gran parte della professionalità di uno sviluppatore di sistemi di machine learning riguarda l’acquisizione di skill matematici e all’esposizione a una quantità di modelli e casistiche, in modo da sviluppare gli skill di generalizzazione richiesti.

Inoltre, il processo di ideazione e sviluppo di una rete neurale consiste in buona parte in tentativi e sperimentazioni di vari modelli, fino a raggiungere risultati credibili. Sembra uno schema già visto? Lo è, anche qui si tratta di abilità in cui il machine learning eccelle, e Google ritiene di aver drasticamente ridotto il problema della penuria di skill con il loro Auto ML, una piattaforma in grado di… sviluppare reti neurali in autonomia.
Middle management
Difficile dire dove può arrivare il processo, ma a questo punto dovrebbe essere chiaro che qualsiasi lavoro che possa essere ottimizzato, che richieda calcoli, analisi e anche decisioni può essere (e verosimilmente sarà) prima o poi preso da una macchina.
Il lavoro del manager non fa eccezione, specialmente nell’era dei big data. In cosa consiste il lavoro di un manager? La risposta ovviamente varia nei dettagli e sfumature da contesto a contesto, ma fondamentalmente la maggior parte dei compiti di un manager rientrano in ambiti come lavoro di ufficio generico, gestione del budget, pianificazione, decisioni di business, problem solving a vari livelli.
Le prime due funzioni sono fin troppo evidentemente automatizzabili, le ultime tre categorie possono essere ricondotte nell’ambito del decision making in generale. Ora, è curioso notare come poco si sappia in fondo, del processo decisionale dei manager, ovvero in parole povere di come facciano i manager a prendere decisioni. Eccles e Wood, in un noto articolo degli anni ’70, pubblicato su Journal of Management Studies, esordivano così nell’introduzione:
“Decisions are the visible product of the managerial process, yet we know almost nothing about the real time context of managerial decision-making.” (Eccles, A. J. and Wood, D. (1972), HOW DO MANAGERS DECIDE?. Journal of Management Studies, 9: 291–303. doi:10.1111/j.1467-6486.1972.tb00557.x)

Universal Basic Income (UBI): la soluzione?
Il quadro dipinto finora può sembrare catastrofico: posti di lavoro che spariscono in quantità sempre più massicce, rimpiazzati dalle macchine, sempre meno nuovi posti di lavoro creati, consumi in calo fino a sparire, a causa della disoccupazione esplosiva, società che implode su se stessa.
Tuttavia, questo scenario per quanto cupo non è inevitabile, se la società prende sul serio la minaccia e riesce a riorganizzarsi in maniera adeguata. Meno lavoro non significa necessariamente più povertà: la soluzione potrebbe essere quella di far creare ricchezza alle macchine, oltre ai semplici beni. La società capitalistica attuale si fonda sul consumismo: senza lavoro oggi come oggi niente soldi, senza soldi niente consumi, e senza consumi si ferma tutto. Ma è la prima assunzione che si potrebbe cambiare, ovvero con l’introduzione di quello conosciuto come Universal Basic Income (UBI).
L’UBI è un concetto che ricorda il reddito di cittadinanza di cui si sente parlare spesso, il cui punto fondamentale è di essere incondizionato. Incondizionato significa che non è legato né a disoccupazione, né a stato sociale o economico: viene dato e basta.
Non c’è il rischio di incoraggiare le persone a non fare niente così?
In realtà no, diversi esperimenti in corso in Europa hanno mostrato che con un reddito di base alle spalle le persone sono più incoraggiate a investire in formazione, a tentare nuove strade come l’avvio di attività in proprio, grazie al fatto di avere comunque le spalle coperte in caso di fallimento. Il nodo infatti è proprio il rischio di fallimento, che nella società di oggi è affrontabile da pochissimi.
In pratica, finora i risultati dicono che il reddito di base viene visto più come un’opportunità di trovare una strada, invece che come soldi gratis per giocare online. Opportunità che non ci sarebbe nella società attuale, dove chi ha lavoro, con 40 ore e passa settimanali non ha tempo per tentare altro, e non può ovviamente permettersi di lasciare il proprio lavoro per farlo.
Ci sono sempre i sussidi di disoccupazione no?
Non proprio, non solo perché non in tutti i paesi sono previsti questi sussidi, ma soprattutto perché obbligano le persone a prendere il primo lavoro che viene offerto, pena la cessazione del sussidio. Inoltre, il sussidio viene terminato (ovviamente) anche nel caso in cui si trovi lavoro immediatamente, cosa che non stimola esattamente a cercare.
Ma erogare il reddito di base è costoso, come si fa a trovare i fondi?
Sono molti i modi proposti, dalla razionalizzazione della spesa pubblica alla lotta all’evasione fiscale. Ma soprattutto il processo più sensato potrebbe essere di far finanziare questo reddito proprio a chi gestisce le macchine, e quindi la produzione. Non ci sono molte alternative: se nessuno è in grado di acquistare i beni, il circolo si interrompe, e la produzione diventa fine a se stessa. Lo stesso Ford negli anni ’50 si era reso conto che i consumatori dovevano potersi permettere di acquistare le automobili che lui produceva.
Considerazioni
Industry 4.0 è qui, i posti di lavoro non se ne andranno tutti nottetempo, ma il processo è iniziato, ed è chiaramente irreversibile. Non posso dire con certezza se l’UBI sarebbe la soluzione a tutto, ma è chiaro che la struttura sociale attuale non è pronta ad assorbire il colpo, e una riorganizzazione fatta con una certa lungimiranza è necessaria.
Mi piace fantasticare un mondo in cui nessuno è obbligato a fare lavori orribili solo perché “qualcosa bisogna pur fare per campare”, e in cui in ogni contesto si vengano a trovare solo persone motivate a costruire qualcosa. È un sogno molto… poetico, ma in fondo non dovrebbe essere questo il genere di progresso portato dalla tecnologia?
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Andrea lavora nel campo dell’IT da quasi 20 anni coprendo un po’ tutto, da sviluppo a business analysis, alla gestione di progetti.
Oggi possiamo dire che è uno gnomo spensierato, appassionato di Neuroscienze, Intelligenza Artificiale e fotografia.