Israele, perennemente sul filo tra Start-Up Nation ed Exit Nation
Non è facile trovare fonti neutrali quando si parla di Israele, essendo la maggior parte di origine Israeliana stessa. Questo vale non solo per gli aspetti politici, ma anche riguardo la tecnologia.
Perché “Start-tup nation”? Per capirlo bisogna fare un salto indietro nell’immediato dopoguerra.
Perché Start-Up nation? Breve premessa storica
Nel 1947 la Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite propone la ripartizione della Palestina (dal 1920 governata dagli inglesi) tra due nuovi stati: una Palestina araba e uno stato ebraico di Israele, con Gerusalemme sotto controllo internazionale. L’obiettivo dichiarato della risoluzione è quello di risolvere un conflitto che si trascina dal XIX secolo. Purtroppo, la natura esplicitamente coloniale di una risoluzione unilaterale, che non prevede nemmeno la consultazione della popolazione palestinese porta prima alla guerra civile del 1947, poi alla guerra arabo-israeliana del 1948. La “Guerra di Indipendenza”def. vede Israele mantenere sia l’area raccomandata dalle Nazioni Unite, sia il 60% del territorio raccomandato per gli arabi. Gli arabi ricorderanno l’esito come Nakba (“catastrofe”), con il massacro e l’espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi.
Da allora Israele è un paese costantemente in guerra contro tutte o quasi le nazioni arabe circostanti. Questa premessa storica è importante per capire come è andata forgiandosi la mentalità degli israeliani. Perché allo stato di guerra costante dobbiamo aggiungere lo sforzo di fondare una nazione su una terra priva di risorse.
Tutte queste difficoltà hanno contribuito a fare di Israele una vera e propria “nazione Start-Up”.
Come trasformare i soldati in imprenditori
Israele oggi è un paese conosciuto per l’incredibile numero di start-up fondate, specialmente nel settore hi-tech.
Dan Senor e Saul Singer nel 2009 pubblicarono il best-seller “Start-Up Nation: The Story of Israel’s Economic Miracle“, dove descrivono il “miracolo” Israele partendo dalla domanda:
“Come mai Israele, un paese di 7 milioni di persone, con solo 60 anni di storia, circondato da nemici, in stato costante di guerra sin dalla sua fondazione, senza risorse naturali, produce più start-up di nazioni grandi, pacifiche e stabili come Giappone, Cina, India, Corea, Canada e Regno Unito?”
Dietro questo proliferare di imprese c’è una parola: Chutzpah. Si tratta di un termine ebraico intraducibile, che molti definiscono come “la costante volontà di provare e riprovare cose che nessuno ha fatto prima, senza paura del fallimento”.
Secondo i due autori è grazie alla leva obbligatoria che gli israeliani sviluppano la propria Chutzpah. Durante il servizio infatti, i giovani soldati imparano a prendere decisioni rapide e a mettersi sempre in gioco.
Molti imprenditori addirittura sostengono di considerare secondario il livello di educazione nel recruiting, e di guardare soprattutto ai risultati raggiunti sotto il servizio militare. Certo, il libro presenta tutto filtrato dalle lenti colorate dello spirito nazionalista israeliano. Un filtro che mostra solo trionfi e dure prove tenacemente superate grazie alla Chutzpah. Questa visione ha attirato critiche sul libro2, ma rimane comunque un’opera indicativa sul modo di israeliano di ragionare e operare.
Start-up nation o exit nation?: l’altra faccia della Chutzpah
Israele è oramai percepito da anni come fonte quasi inesauribile di innovazione tecnologica, e con le grandi multinazionali interessate sempre di più a attingere a questa fonte, non è una sorpresa che che gli investimenti abbiano raggiunto la cifra record di 4,6 miliardi di dollari, superando il record di 4,4 del 2015. Oltre alla Chutzpah, un’altra ragione importante è la quantità di investimenti statali in ricerca e sviluppo, che ammontano a oltre il 4% del PIL, più del doppio degli USA ad esempio.

Non è però tutto oro quel che luccica, perché se da una parte il numero di start-up di successo sta attirando una quantità cospicua di investimenti da oltre confine, dall’altra rimane il fatto che il 95% delle imprese israeliane finiscono per essere cedute a multinazionali straniere. Non c’è quindi da stupirsi che oltre a “Start-Up Nation”, Israele ha finito per guadagnarsi anche il titolo di “Exit Nation”.

Alcune delle exit più note sono state quella di ICQ ad AOL nel 1998 per 400 milioni di dollari (poi acquisita da Mail.ru nel 2008), quella di Waze a Google nel 2008 per circa 1 miliardo, quella di Mobileye via IPO nel 2014 per 1 miliardo, poi ceduta a Intel per più di 15 miliardi nel 2017.
Exit Nation? Soldi che entrano, cervelli che escono
Questo significa che per tanti soldi che entrano, ci sono anche tanti cervelli che escono, visto che molte delle start-up acquisite finiscono poi per essere “migrate” oltre frontiera. Questo è un dato che preoccupa non poco molti investitori e industriali israeliani. L’idea infatti, citando il noto venture capitalist Michael Eisenberg, è che Israele dovrebbe crescere da “Start-Up nation” a “Scale-Up nation”.
“Nel 2017, Israele è una destinazione internazionale attraente per persone creative e brillanti. Non dovrebbe essere solo un posto dove vengono ebrei rifugiati. Noi siamo una destinazione attraente per spiriti e cervelli innovativi orientati alla tecnologia. Come comunità, cittadinanza e governo, dobbiamo investire molti più dollari in questo.” Ha detto Eisenberg in un’intervista recente al Jerusalem Post.

Inversione di tendenza?
Rispetto agli anni precedenti, nella prima metà del 2017 sembra esserci stata una flessione nel numero di exit, e anche nella cifra media per cessione: 34 milioni di dollari di media contro gli 87 dello scorso anno. Le spiegazioni ipotizzate variano dai cambiamenti nelle politiche di tassazione americane e cinesi, al cambio di filosofia degli start-upper che starebbero virando da una politica di cessioni e realizzazioni immediate a una di maggiore crescita a lungo termine.
Tecnologia militare
Da sempre e ovunque l’apparato militare è quello che traina il progresso tecnologico, e Israele ovviamente non fa eccezione, anzi.
Le tecnologie a uso militare Israeliane sono tra le più sofisticate e avanzate del globo. Per esempio Elbit System produce dai sistemi come Music-C , un laser antimissile montato su aerei militari e civili, Iron Vision (vedi sotto), un visore che permette ai carristi di “vedere attraverso” le pareti del tank così da avere una visuale a 360°.
Droni
Israele è oggi uno dei maggiori esportatori di droni, e stando agli osservatori l’industria vale attorno ai 400 milioni di dollari all’anno.

Se la tecnologia dei droni israeliani è tra le più avanzate del mondo2, quella che sembra fare più gola all’estero è quella dei droni a uso militare, e ora contano clienti da tutto il mondo.
La guerra dei droni: un mercato in espansione
Molti dei droni sono stati impiegati in Afghanistan dagli acquirenti, impressionati dall’uso che ne fa Israele stesso, soprattutto in Palestina. Stando ad Al−Jazeera (video), l’uso dei droni da parte di Israele è esploso dopo la seconda Intifada nel 2000, dove i droni tattici hanno ricoperto un ruolo chiave nel programma di “assassinio militare” sui territori palestinesi. Ora, grazie all’esperienza accumulata, Israele gode di un vantaggio senza precedenti in un mercato in rapida espansione.
Prima regola dei droni offensivi: nessuno parla dei droni offensivi
Inizialmente i droni militari erano impiegati essenzialmente come ricognizione e in ambito difensivo. Qualsiasi domanda sull’uso di droni offensivi da parte degli acquirenti, veniva rispedita al mittente come routine. La risposta più comune era “Noi forniamo la tecnologia: come viene impiegata non è affar nostro”.
Secondo Al-Jazeera ci sono forti prove che indicano che l’uso di droni tattici da parte israeliana è continuato a crescere, “prima durante la Guerra di Gaza, nell’operazione “Cast Lead” e poi nel 2012 nell’operazione “Pillar of Defence”. Proprio durante quest’ultima operazione, Human Rights Watch riportò diversi casi di civili uccisi da attacchi di droni tattici. Israele si rifiuta di riconoscere l’esistenza di un programma di droni offensivi, nonostante le prove sull’utilizzo siano sempre più numerose.
“Il programma israeliano di droni offensivi è ancora top secret”,
dice Chris Woods, un giornalista britannico specializzato sull’argomento.
“Il governo israeliano rifiuta ad oggi anche solo di riconoscere il programma. Per quanto ne so non c’è una sola immagine di dominio pubblico di un drone israeliano armato. Penso che sia notevole che siano riusciti a tenere tutto al di fuori della conoscenza pubblica per così tanti anni. Ma quello che sappiamo è che ci sono due UAV (Unmanned Autonomous Vehicle) che Israele usa con armi. A conoscenza mia sono stati armati e usati in attacchi già nel 2004, probabilmente. Quanti attacchi di droni sono stati effettuati da allora – dozzine, centinaia? Non ci sono dati consistenti. Abbiamo avuto molte organizzazioni che hanno monitorato ogni mossa della CIA in Pakistan e Yemen. Nessuno sta facendo la stessa cosa per Israele a Gaza o altrove.”
Implicazioni filosofiche
L’uso di droni offensivi viene giustificato con il presunto risparmio di vite nelle operazioni, principalmente quelle dei soldati. Il rovescio della medaglia risiede nella disconnessione che si crea tra manovratore e bersaglio, creando uno sbilanciamento pericoloso. Secondo le parole di Martin van Creveld, storico militare israeliano:
“La guerra per definizione è una situazione in cui le uccisioni sono reciproche. Quando le uccisioni non sono più reciproche non puoi avere una guerra, hai un massacro, hai Auschwitz. Questa è la definizione di Auschwitz, quando la gente non è in condizione di resistere. Una fazione uccide e l’altra è obbligata a farsi uccidere. Così ci sono problemi morali molto seri qui.”
Il regista israeliano, Yotam Feldman, che ha girato “Israel’s Drone Dealers” per People and Power, ha chiesto a van Creveld di chiarire. “Lei dice ‘non è sufficiente uccidere persone a Gaza coi droni, devi ucciderle da te per poterti chiamare soldato’?”
“Beh, si, altrimenti sei un macellaio. Questa è esattamente la differenza tra un soldato e un macellaio. Un soldato mette la sua vita a rischio, un macellaio no.”
In guerra come nei videogames?
E in effetti, la possibilità di comandare droni offensivi da remoto su uno schermo, tramite joystick rischia di far somigliare le operazioni militari più a videogame che a guerre vere e proprie, tanto che già lo scorso anno secondo il Guardian la RAF stava considerando l’idea di reclutare videogiocatori diciottenni per manovrare questi droni.
Sicuramente, come per tutte le altre tecnologie, il mercato dei droni militari funziona anche da traino per le tecnologie civili. Tuttavia, considerando la rapidità dei progressi in Intelligenza Artificiale, il motto “è l’intelligenza umana a renderli letali” potrebbe diventare obsoleto presto.
I mercati tecnologici prominenti: Cybersecurity, Network management e Automobili autonome
Cybersecurity

La relazione che c’è in Israele tra difesa militare e imprenditoria ha reso la cybersecurity un ambito quasi scontato da sviluppare, tanto che già nel 1993 (un anno prima che Cisco entrasse nel mercato), l’israeliana Checkpoint aveva già sviluppato il primo firewall, chiamato Firewall-1. La sicurezza è uno degli ambiti sicuramente più popolari in Israele, tanto che le battute più frequenti sono:
“Se solo dici agli investitori che stai fondando una start-up sulla sicurezza accorreranno a versare soldi nella tua società”
“Tutto quello che vogliono finanziare sono due tizi che hanno fatto il militare e possano costruire il prossimo framework di cybersecurity”.
Israele, come altri stati, ha un proprio programma di addestramento per i nuovi cyberwarrior, chiamato Talpiot. Questo programma oltre ad addestrare le migliori menti israeliane a praticamente ogni tipo di guerra tecnologica, ha attirato l’attenzione del governo indiano, in cerca di ispirazione per il proprio, tanto che è nato un sodalizio tra i due governi, che garantisce training e tecnologia all’India, quanto l’accesso a un mercato in crescita esplosiva a Israele.
Casi d’uso
Per esempio nell’ambito della sicurezza di rete una compagnia di interesse è Red Canary, che ha sviluppato algoritmi di intelligenza artificiale che tramite analisi di pattern di attacchi, ispezioni dei binari, analytics dei comportamenti utenti è in grado di proteggere la rete dalle vulnerabilità indotte dai vari endpoint.

Molto interessante è anche la proposta di Illusive Networks, che permette di creare endpoint e reti illusorie per depistare eventuali attacchi ed effettuare tracciamenti validi anche dal punto di vista forense.
Israele è all’avanguardia anche nel campo della crittografia quantica: Post-Quantum dichiara di produrre crittografia resistente ad attacchi quantistici, mentre Il Quantum Information Science Center alla Hebrew University of Jerusalem ha vinto una borsa di 7,5 milioni di NIS dal governo di Israele per condurre la costruzione di un dimostratore nazionale per le tecnologie di comunicazione quantistica.
Network Management
Un altro campo “caldo” in Israele è quello del network management, dove la tendenza sembra essere quella di sviluppare prodotti all-inclusive, con lo scopo di mettere i service provider in grado di utilizzare tecnologie come SDN e NFV con impatti minimi.
Allot per esempio produce un Service Gateway con servizi virtuali già integrati e configurati come VNF già pronti all’uso, oltre a quello che definiscono come “actionable analytics”, ovvero la possibilità di poter intervenire direttamente a partire dagli analytics real-time.
Elastinet produce una piattaforma di gestione di reti virtuali totalmente all-inclusive, a partire da LightSoft, per la gestione delle reti virtuali, LightControl, un controller SDN, in grado di unificare la gestione di LAN e WAN, e LightApps, un set di applicazioni SDN installabili sul controller.
Infine menzione per Atrinet, con un prodotto in grado di gestire facilmente cloud multivendor, oltre a un tool per la creazione di servizi di rete direttamente da web, e Sedona, con Netfusion, un prodotto di automazione e discovery.
Automobili autonome

Le automobili driverless sono il terzo tema caldo in Israele. Non si può parlare di automobili autonome in Israele senza parlare di Mobileye, se non altro per l’acquisizione da parte di Intel per circa 15 miliardi.
Quello di Mobileye da parte di Intel è stato il più grande acquisto di una startup israeliana. L’idea è quella di unire l’elevata capacità di elaborazione di Intel con l’esperienza in computer vision di Mobileye. Prima di venire assorbita da Intel Mobileye aveva inoltre raggiunto la notorietà per la collaborazione con Tesla nel 2015. La collaborazione terminò poi l’anno successivo, non nel migliore dei modi. A detta di Mobileye fu “dovuta a ragioni di sicurezza”, mentre Tesla attribuiva la causa al piano di progettare i componenti visivi in casa per le versioni successive3.
Innoviz è una start-up che sta lavorando allo sviluppo di un’automobile totalmente autonoma, con sistemi di riconoscimento oggetti e di navigazione rivoluzionari.
GasNGo fornisceservizi avanzati di fleet fuel e management control in tempo reale.

Interessante è anche la proposta di NXTdrive, che tramite touch sense e feedback vocale, permette l’interazione con lo smartphone senza staccare le mani dal volante.
Tra le innovazioni più interessanti spicca inoltre Nexar, una app scaricabile su smartphone in grado di funzionare come Dash-cam, registrando videoclip di eventuali incidenti e analizzando le condizioni stradali avvertendo in caso di eventi pericolosi. Inoltre, Nexar usa un algoritmo di computer vision per analizzare i video, ed eventualmente registrare la targa delle auto “offendenti”.
Altre startup israeliane che stanno cambiando l’industria automobilistica includiamo Otonomo, che permette ai produttori di auto, app e service providers di scambiare dati come velocità, temperatura e livelli di batteria, VayaVision, produttore di sensori, e Argus Cyber Security, che è in grado di difendere l’auto da eventuali hacker.
Medicare
Le startup israeliane stanno producendo molte innovazioni anche nel settore medico.
Given Imaging ha prodotto PillCam, una speciale “pillola” monouso da ingerire che contiene (a seconda della versione) una o due microcamere in grado di visualizzare intestino, esofago o colon, con tanto di software in grado di analizzare immagini e video prodotti. Lo scopo di questo dispositivo è di sostituire o integrare processi più invasivi come endoscopia e colonscopia.Innosphere produce un dispositivo, non invasivo, in grado di trattare la ADHD, tramite opportune stimolazioni cutanee.
Nell’ambito dei disturbi della visione invece Nano Retina è in grado di migliorare considerevolmente la visione di soggetti affetti da sindrome degenerativa della retina tramite chip impiantato direttamente sulla fovea e speciali occhiali.
Sempre nell’ambito della visione, OrCam ha implementato un dispositivo chiamato MyEye, in grado di fornire una sorta di “visione artificiale” ai ciechi, o a chi affetto da disturbi del linguaggio come la dislessia. Si tratta di una piccola telecamera che si aggancia direttamente agli occhiali, collegata a un computer tascabile. Questa è in grado di leggere testi da quasi qualsiasi superficie, traducendoli in voce sintetizzata.
Ultimo, non per importanza, “Just Blink”, un progetto pubblicato su Graefe’s Archive for Clinical and Experimental Ophthalmology dai ricercatori del Technion-IIT, nella facoltà di Ingegneria Elettrica dell’università di Haifa. Si tratterebbe di un dispositivo in grado di leggere i movimenti di un piccolo magnete collocato sulla palpebra superiore (EMM, Eyelid Motion Monitor), e diagnosticare disordini neurologici (quali il morbo di Parkinson) e oftalmici.
“Ci riporti su, spock! Non c’è vita su questo pianeta”: tecnologia da Star Trek

In ambito invece non strettamente medico troviamo SCiO, uno spettrometro simile al Tricorder di Star Trek. Il dispositivo è in grado di analizzare lo spettro luminoso riflesso da un oggetto e determinarne la composizione chimica. La versione consumer è in grado di analizzare un sottoinsieme di sostanze, quali formaggi. carne, pesce, frutta, verdure e cioccolato. La versione business invece consente di effettuare analisi su modelli tagliati su misura per i bisogni dell’azienda. C’è anche un modello “developer” che permette di sviluppare propri modelli spettroscopici da analizzare, previa opportuna conoscenza di spettroscopia NIR.

Note
1. Soprattutto perché a detta dei critici glissa sulle forti ineguaglianze interne, specialmente verso la popolazione araba.
2. I primi utilizzi risalgono agli anni ’70
3. Tesla ha recentemente dichiarato di esser riuscita a ricreare il sistema di Mobileye in meno di 6 mesi.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Spindox.it: Israele: terra promessa, patria di startup e di exit di successo
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