Dalla stampa 3D alla stampa 4D: basta 1D per fare una rivoluzione
La stampa 3D è oramai una realtà, e le applicazioni oramai non si contano più: dalla moda (basta dare uno sguardo agli articoli proposti da J. Kyttanen per farsi un’idea) ai giocattoli, dai prototipi industriali alle protesi biomediche.


Rapid Liquid Printing: stampa 3D veloce e in scala in sospensione di gel
Tuttavia, tutte queste realizzazioni hanno un “limite” (se di limite si può parlare) in comune, la rigidità: una volta stampato, un oggetto mantiene definitivamente quella forma.
Tutto questo però potrebbe essere ribaltato con l’avvento della stampa 4D: esatto, 1D in più!
La quarta dimensione: da “montaggio necessario” a “basta aggiungere acqua”
Ma in sostanza cos’è questa stampa 4D? Non bastava il 3D? E che cos’è questa storia della quarta dimensione?
Giusto per alimentare il panico, possiamo dire che 4D = 3D + T, ovvero la stampa 3D più il tempo. Semplificando, un oggetto “4D” appena stampato non differisce in nulla rispetto a un prodotto della stampa 3D: la differenza è che il primo è in grado di cambiare la sua forma nel tempo, quando viene fornito uno stimolo esterno come acqua, calore, sollecitazioni meccaniche… il tutto grazie alle speciali caratteristiche dei materiali utilizzati.

Come funziona? In uno degli esempi illustrati dal MIT, il filo metallico viene “programmato” in una forma ben definita (es: un fiore) in modo che rimanga “memorizzata” nella struttura del materiale; a questo punto anche se viene stirato o deformato, una volta immerso in acqua il filo riacquisterà l’esatta forma in cui era stato programmato.
A che serve? Beh le applicazioni immaginabili sono molte: per esempio nell’agosto 2016 nello Xijing Hospital in Cina è stato impiantato con successo un seno artificiale a una donna cui era stata eseguita una mastectomia per un cancro alla mammella sinistra. La protesi è stata sviluppata dalla Xi’an Jaotong University in Cina tramite stampa 4D, in modo da “crescere” il più naturalmente possibile all’interno del petto della donna assieme ai propri tessuti.
Anna Vallgårda del dipartimento di Digital Design dell’Università di Copenaghen ha esplorato i materiali programmabili nell’ambito dell’interaction design: materiali che cambiano comportamento col respiro, o per semplice prossimità…
Il Self-Assembly Lab del MIT guidato da Skylar Tibbits sta conducendo ricerche su materiali programmabili, e in collaborazione con Autodesk ha dato vita al progetto Cyborg, una piattaforma cloud per “programmare materia” su qualsiasi dominio e scala.

Questo potrebbe portare a una pletora di materiali programmabili, e addirittura a materiali che espongono API agli sviluppatori.
Stampa in 5D
No, un momento… abbiamo appena iniziato a esplorare il 4D che già parliamo di 5D? Inizieremo a stampare oggetti che se ne vanno a spasso nella quinta dimensione?
In realtà no, la stampa 5D non è un’evoluzione della 4D, ma una tecnica per stampare oggetti 3D più resistenti. Infatti, al contrario della stampa additiva 3D convenzionale, che prevede la costruzione dell’oggetto aggiungendo strati uno sull’altro verticalmente, la stampa 5D utilizza piattaforme mobili che consentono di ruotare la base sui 5 assi durante la stampa, in modo da produrre oggetti in forme curve, da 3 a 5 volte più resistenti.
La stampa 5D quindi è solo un nome in codice per la stampa 3D sui 5 assi, ma possiamo immaginare una stampa nella quinta dimensione?
Forse si.. in un certo senso. Il Self-Assembly Lab sta già esplorando quella che chiamano Autonomous Mass Assembly, ovvero componenti che fornito uno stimolo esterno (nell’esempio del video una sollecitazione meccanica) si assemblano da soli in forme predefinite, a seconda della caratteristica dei rispettivi materiali.
Sorvolando i dettagli (peraltro forniti nel sito), le piastrine nel contenitore sono fatte di materiali complementari, e agitate con la giusta quantità di energia si “agganciano” e assemblano nelle forme programmate.
Ora, si potrebbe immaginare che queste strutture elementari si vadano a ricombinare con altre strutture simili in modo da formare metastrutture dai comportamenti sempre più sofisticati, dando così origine alla “quinta dimensione”, ovvero strutture 4D autoassemblanti a partire da altre strutture 4D più semplici, con comportamenti emergenti che non sono la somma delle parti.
Solo fantascienza?
Forse.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Spindox: Stampa 4D: storie dalla quarta dimensione
Links
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Andrea lavora nel campo dell’IT da quasi 20 anni coprendo un po’ tutto, da sviluppo a business analysis, alla gestione di progetti.
Oggi possiamo dire che è uno gnomo spensierato, appassionato di Neuroscienze, Intelligenza Artificiale e fotografia.